L’ edulcorazione del disagio. Una risata vi (ci) seppellirà?
Ci piace leggere la realtà, osservarne colori, forme e stagioni e a volte lo facciamo con sguardo più attento. E quando qualcosa non ci torna, facciamo i lagotti: affiniamo il naso, annusiamo e ci facciamo delle domande.
Questo blog è dedicato a un fenomeno social che noi chiamiamo: l’edulcorazione del disagio.
Edulcorare deriva da dulcor «dolcezza», dulcis «dolce».
Quindi rendere meno grave, attenuare, dolcificare una situazione di disagio e di malessere.
Inizia più o meno da qui:
Slang entrati a gamba tesa nel linguaggio comune.
E si passa da qua:
fonte: profili Instragram @cosebrutteimpaginatebelle e @nicomadonia
Apparentemente un modo alternativo e divertente di continuare a raccontarci la storia dell’ esistenza.
Che siamo un popolo dalle poche domande e dalla scarsa consapevolezza non è una novità, e che la finestra di Overton sia talmente spalancata da farci passare la qualsiasi, lo sappiamo.
Ma esiste qualche secondo della nostra giornata o della nostra settimana dedicata a ragionare sulla modalità, sulle parole, sul linguaggio che utilizziamo nel parlare a noi stessi e per rispondere al mondo?
Quali sono le conseguenze, le derive, di questo tipo di claims?
Cosa sottende a questo fenomeno? Ma soprattutto… è funzionale al nostro benessere?
Leggere i sintomi aiuta ad individuare le cause
Se facciamo un passo indietro e facciamo a pezzetti questa corrente prima di comporre il puzzle finale, è facile capire che risponde a un disagio ultra generazionale e dilagato.
Da una parte siamo i primi sostenitori dell’ironia, della leggerezza, del depotenziare la frustrazione. Ma dall’altra parte della sponda possiamo osservare un’altra cosa: non stiamo rischiando di mascherare qualcosa che andrebbe invece compreso e visto? Non stiamo accettando qualcosa solo perché “funny condizione di tutti”?
Ridere e ridicolizzare certi argomenti, come il burnout, lo stress, la depressione, l’ansia… ci porta in qualche modo a legittimarli?
Non stiamo rischiando che diventi “cool” qualcosa che, se ci fermiamo un attimo ad osservarla, ha tutta l’aria di non esserlo?
Proponiamo qui sotto qualche provocazione per entrare nel merito e capire meglio cosa stiamo facendo quando le nostre abitudini diventano azioni leggere, ma che di leggero hanno in realtà molto poco.
Buongiorno mondo! Finalmente è mattina e posso godere del mio primo caffè, in silenzio e per iniziarla al meglio e propositiv*. Che bello.. Che bello dedicare i primi minuti della giornata riportando alla nostra mente un fatto di cronaca in cui un bimbo di 3 anni perse la vita.
Mi concedo una pausa, mi faccio la mia tisana calda preferita, che profumo di frutti di bosco… Mi concedo il tempo per leggere quella newsletter che attendo da tutta la settimana. Ah no aspetta che mi ricordo di schiaffeggiare quella persona che mi sta sulle balle, che mi sta creando problemi, non capisco, che nervoso. Nel frattempo la tua tisana ha perso il sapore.
Una riflessione…
Molti dei profili che noi abbiamo identificato come facenti parte di questo fenomeno di “edulcorazione del disagio” stanno lucrando con il merchandising, vendendo magliette, spille, tote bag, tazze… proprio grazie alla popolarità, ai consensi ottenuti sui social.
Ma ci sentiamo davvero così? Ci sentiamo compresi da tutto questo?
LA PAROLA CREA LA NOSTRA VITA
Il linguaggio non è uno strumento nelle mani del pensiero, tu puoi pensare solo a partire dalle parole
Il Professor Galimberti ci dice che le parole che usiamo determinano un certo tipo di pensieri, di immagini mentali, quindi se pensiamo a partire dalle parole capiamo bene quanto siano queste ultime importantissime.
Le parole che usiamo cambiano la realtà, sempre e comunque. Ogni parola che noi pensiamo o pronunciamo diventa un’immagine nel cervello, questa immagine produce una reazione chimica e noi viviamo la realtà in base alla chimica che abbiamo in corpo.
Paolo Borzacchiello, esperto di intelligenza linguistica.
Capite perché usare certe parole, un certo linguaggio, è a dir poco pericoloso?
Non è vero che “mal comune mezzo gaudio”. Non è cool l’ansia sociale, il burnout, il decidere di non mettere al mondo bambini perché non sai come mantenerli, il non comprarsi casa se non con l’aiuto – e beato chi ce l’ha – dei genitori…
Queste risate soffocano un sentimento collettivo che vorrebbe gridare aiuto.
Il dolore e la sofferenza urlano forte, per loro natura. Non mettiamo il silenziatore, non anestetizziamoli.
Non dovremmo essere un esercito di falliti autoproclamati che in ultima istanza incanala la propria naturale e sana voglia di ridere contro se stesso.
Altrimenti sì che una risata ci seppellirà.
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